Allenare la mente, per prevenire e combattere l’Alzheimer e le malattie cognitive

Le malattie che comportano un deterioramento cognitivo, come l’Alzheimer o qualsiasi altro tipo di demenza, devono essere affrontate con percorsi riabilitativi che pongono al centro la persona malata e tengono conto delle sue componenti cognitive, emotive, comportamentali, sociali, lavorative e familiari.

Ai professionisti che curano la salute della mente è affidato il compito di allenare la memoria e riabilitare le problematiche cognitive lavorando sulla persona, sul contesto che la ospita e sulla sua famiglia, per poterle garantire il maggior grado di supporto possibile durante il progredire della malattia.

Quali sono i sintomi che denunciano l’insorgenza di una malattia cognitiva? Che cosa significa, nello specifico, allenare la memoria? Quale ruolo devono avere le famiglie nei processi di cura delle demenze in genere? In occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer che ricorre oggi, 21 settembre, parliamo di tutto ciò con Francesca Russo, Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica dell’Istituto di Neuroscienze Neomesia di Roma.

Qual è il primo obiettivo che voi specialisti vi ponete nella cura delle demenze in genere?

«Il nostro primo obiettivo, soprattutto quando parliamo di Alzheimer, è quello di puntare sulla prevenzione e quindi sul riconoscimento precoce dei sintomi. C’è la probabilità che i primi deficit cognitivi riconosciuti e riscontrati abbiano un impatto minore sullo stile di vita e quindi si possa pensare di ritardarne lo sviluppo, garantendo al paziente la possibilità di un maggior grado di “funzionamento” il più a lungo possibile».

Quali sono questi sintomi precoci?

«In genere si inizia con una sensazione di disorientamento. Ci si comincia a rendere conto che si dimenticano piccole cose, come ad esempio il luogo in cui si sono lasciate le chiavi di casa, oppure la strada che bisogna percorrere per giungere in un certo luogo. Si ha la percezione di essere meno attenti, meno presenti e questo può generare sensazioni di ansia, se non di angoscia, ci si sente inefficaci, l’autostima tende a calare e aumenta l’insicurezza generale che correlata con il crollo dell’autoefficacia e l’insorgenza della vergogna può condurre all’autoisolamento. In virtù di questo, quelli che sono dei segnali precoci dell’insorgenza di un deterioramento cognitivo dementigeno, spesso vengono erroneamente confusi per delle forme depressive».

Quando si parla di deterioramento cognitivo una cosa che si nota è che le persone tendono a perdere la memoria a breve termine mantenendo invece quella o lungo termine. Qual è il meccanismo che è alla base di questa differenza?

«È vero, è possibile osservare che eventi recenti vengano dimenticati più facilmente rispetto a ricordi sedimentati e richiamati più volte nel tempo. In generale i primi disturbi cognitivi riguardano la memoria episodica, ovvero la capacità di ricordare eventi associati a uno specifico contesto spazio-temporale».

Che cosa vuol dire allenare la memoria?

«Vuol dire stimolare ripetutamente il paziente a orientarsi rispetto a se stesso, alla sua storia, all’ambiente e al tempo in cui vive. Ci sono vari modi di stimolare la memoria di una persona affetta da deterioramento cognitivo. Se ci troviamo in una fase iniziale della malattia il nostro intervento è più efficace poiché è possibile intervenire su un maggior numero di risorse del paziente e prevenire una serie di difficoltà che insorgono col progredire della malattia».

Come viene impostato un percorso di allenamento della memoria?

«Prima di tutto si effettua una valutazione neuropsicologica utile a individuare le aree deficitarie e le risorse cognitive ancora presenti. Successivamente si imposta un progetto riabilitativo finalizzato ad allenare la memoria, le abilità attentive, il linguaggio, le funzioni esecutive per rallentare il più possibile il progredire dei deficit e sviluppare strategie compensative utili a conservare il maggior grado di autonomia del paziente».

Il coinvolgimento riguarda anche le famiglie?

«Sì, l’allenamento della memoria è molto legato all’ambiente in cui vive la persona malata. È importante educare la famiglia e le persone che vivono vicino al paziente perché provvedano a stimolarlo in modo adeguato e rendano l’ambiente in cui vive il più supportivo e il meno stressante possibile. Un paziente che vive in un luogo in cui ci sono molte interferenze sensoriali come suoni, luci e colori in eccesso può provare un maggiore senso di disorientamento. Il contesto terapeutico intrapreso va invece inserito in un ambiente adeguato, in cui il paziente si senta tranquillo, al sicuro».

Quanto è importante il ruolo della famiglia in tutto ciò?

«È davvero molto importante, tanto che la famiglia viene coinvolta fin da subito nel percorso terapeutico. Perché sia preparata a un compito che non sempre risulta facile – quello di “gestire” la persona affetta da deterioramento cognitivo – la famiglia viene psico-educata rispetto al tipo di malattia presente, con informazioni su quale sarà il suo andamento e su che cosa ci si dovrà aspettare in futuro. Sono informazioni essenziali, perché con il progredire della malattia sarà fondamentale sapere come comportarsi e quali strategie mettere in campo per assicurare al parente malato un grado quanto più esteso possibile di autonomia».

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2022-09-21