Comunità riabilitativa Beata Corte, l’avvento del Covid ha reso i ragazzi meno aggressivi

Il periodo legato alle restrizioni dovute alla pandemia per Covid 19 ha lasciato molti segni nella nostra vita di tutti i giorni. E ha influito in modo sensibile anche nelle strutture che accolgono persone sottoposte a progetti di cura di lunga durata.
Tra queste la Comunità terapeutica riabilitativa per l'età evolutiva Beata Corte di Caccamo Serrapetrona, che ha voluto verificare, attraverso un'attenta analisi, quali strascichi abbia lasciato questo momento così particolare nell'animo dei suoi piccoli ospiti, bambini e adolescenti di età compresa tra i 12 e i 18 anni affetti da disturbi comportamentali e da patologie di interesse neuro psichiatrico.
La struttura residenziale anche durante la pandemia ha garantito la continuità assistenziale alle cure terapeutiche e riabilitative, con gli ospiti che si sono dovuti comunque adattare a condizioni di minore autonomia personale. Non hanno frequentato la scuola in presenza, gli impianti sportivi, il volontariato e tutte le attività psico-educative svolte in genere all'esterno della struttura. Anche gli incontri con i familiari, durante il periodo di lockdown, sono stati ovviamente ridotti in favore di sistemi di comunicazione a distanza come video-chiamate e telefonate

La ricerca

Per effettuare la ricerca sugli influssi portati dall’emergenza pandemica sul comportamento dei ragazzi ospiti di Beata Corte sono state esaminate le cartelle cliniche dei pazienti nel periodo dal 1° gennaio al 30 maggio 2020. In questo periodo c’è stato il passaggio dal periodo pre-Covid a quello Covid, visto che il blocco in Italia ha avuto inizio il 10 marzo 2020. Per verificare il cambiamento sono stati confrontati i comportamenti tenuti dai ragazzi nei primi tre mesi con quelli avuti nei giorni successivi.

Lo studio è stato effettuato su 19 ospiti, 13 ragazze e 6 ragazzi con un’età media di 16,3 anni. I dati sono stati presi in considerazione in base al sesso, distinguendo le reazioni tra ragazzi e ragazze.

Per quanto riguarda le pazienti femmine è stata registrata una riduzione generale dei comportamenti etero-aggressivi e autolesivi. Molto sensibile la riduzione dei comportamenti etero-aggressivi verso il personale sanitario (-44%) e verso gli oggetti (-34%). Più contenuta la riduzione dei comportamenti etero-aggressivi verso altri pazienti (-3%) e dei comportamenti autolesivi (-13%). Non c’è stato alcun tentativo di fuga né alcun ricorso a ricoveri ospedalieri.

In relazione ai pazienti maschi, i risultati sono abbastanza differenti. La riduzione ha riguardato solo i comportamenti etero-aggressivi verso gli altri pazienti (-27%) e quelli verso oggetti (-17%). In aumento, seppur contenuto, sono invece risultati i comportamenti etero-aggressivi verso il personale sanitario (+7%) e i comportamenti autolesivi (+13%). Anche in questo caso non si sono registrati tentativi di fuga o necessità di ricoveri in ospedale.

Le conclusioni sulla ricerca

L’analisi retrospettiva sui comportamenti tenuti nel periodo di esordio Covid rivela che in condizioni di emergenza alcune aree funzionali del comportamento dei ragazzi sono migliorate.

C’è stata anzitutto una riduzione dei ricoveri ospedalieri e una riduzione dei trattamenti sanitari obbligatori. I pazienti in generale hanno mostrato una minore inclinazione verso comportamenti violenti, rivolti sia verso l’esterno sia verso l’interno. Chi mostrava difficoltà a frequentare le lezioni, per problemi di ansia da prestazione o di socializzazione con i coetanei ha trovato un beneficio nel seguire le lezioni online e la chiusura verso l’esterno ha agito in senso positivo sui ragazzi con disturbi di personalità o patologie di vario genere.

Il commento dell’esperto

Ricerche di questo tipo negli ultimi tempi sono state condotte a vari livelli e in strutture simili a Beata Corte. Ma nessuna, finora, ha riguardato pazienti che vivono in comunità per minori. Per questo lo studio effettuato nella comunità terapeutica di Caccamo Serrapetrona, pur riguardando un numero ristretto di persone, assume una certa importanza dal punto di vista medico e statistico.

Ne parliamo con la dottoressa Stefania Squadroni, pedagogista e autrice dello studio, condotto dalla “squadra” diretta dal Direttore sanitario Francesco Sergi.

Dott.ssa Squadroni, parliamo dei ragazzi ospiti della Comunità Beata Corte. Di che cosa soffrono, nel dettaglio?

«Sono minori che hanno problemi di carattere psichiatrico: la patologia più diffusa è quella dell’esordio psicotico, poi ci sono varie forme di schizofrenia e alcuni ragazzi sono affetti da forti disturbi di tipo cognitivo. Sono patologie che possono avere una familiarità, anche se la percentuale al riguardo è piuttosto bassa. In molti casi questi ragazzi vengono da situazioni ambientali particolari. La loro presenza nella nostra comunità nasce proprio dall’esigenza di offrire loro un contesto differente, in cui possano ristrutturare le relazioni affettive costruite e perse, per motivi di varia natura, a livello familiare. Uno dei primi compiti della comunità è proprio quello di ristrutturare la dinamica affettiva e comportamentale del ragazzo».

Qual è il tempo medio della presenza dei ragazzi all’interno della comunità? Quali sono gli obiettivi dell’accoglienza?

«La durata dell’accoglienza varia in base alla diagnosi e al percorso fissato per il singolo ragazzo o ragazza. In genere è prevista nell’ordine di 1 o 2 anni al massimo. Se si arriva a tre significa che ci si trova davanti a un caso piuttosto complesso. Non è una comunità chiusa: i ragazzi non perdono i contatti scolastici e si cerca in ogni modo di valorizzare la loro integrazione sociale, aspetto molto delicato che merita tutta la nostra attenzione, perché è necessario fare in modo che tutti i contatti che i ragazzi hanno con la realtà esterna siano meno frustranti possibile. Tra i contatti “esterni” al primo posto mettiamo quello con la famiglia di origine perché, come detto, uno dei nostri obiettivi è quello di ristrutturare la relazione con la famiglia. A questo fine le visite all’interno della comunità sono assolutamente libere, i contatti sono continui così come tutte le altre attività di tipo psico-educativo che ragazzi e ragazze possono svolgere liberamente».

Veniamo alla ricerca da voi effettuata. Arriva il Covid-19 e si modificano tutti gli equilibri presenti nella comunità…

«È cambiato tutto, in un tempo brevissimo. Per questo abbiamo pensato di studiare l’impatto della pandemia e quindi dei vari lockdown che hanno riguardato gli ospiti della nostra comunità».

Entriamo subito nel dettaglio dei risultati. Quasi in modo sorprendente ci si accorge che la pandemia ha contribuito a diminuire i comportamenti violenti dei ragazzi…

«È davvero così, i comportamenti etero-aggressivi nei confronti di operatori o altri ragazzi sono diminuiti quasi della metà. Avevamo avuto questa sensazione, che i ragazzi nella situazione di emergenza stessero meglio. I nostri studi, basati su un’analisi dii dati giornalieri delle cartelle cliniche e degli strumenti di tipo osservazionale predisposti dalla comunità, possono apparire paradossali, ma forse non lo sono del tutto».

Come spiegate questa riduzione?

«I motivi non sono del tutto facili da individuare, ma qualche riflessione l’abbiamo fatta. Un primo pensiero è che a un certo punto i ragazzi abbiano avuto la sensazione di non sentirsi così diversi dal mondo esterno visto che in quel momento la “chiusura” la stavano vivendo tutti. Ma pensiamo che abbia anche influito il fatto di avere vissuto una diminuzione dello stress dovuto alle relazioni familiari, alla scuola, alle attività psico-educative che, in momenti delicati come quelli che caratterizzano gli esordi psicotici, possono a volte risultare sovrastimolanti perché creano un’eccitazione, un senso di ansia e frustrazione che poi, a seguire, può tramutarsi in etero-aggressività, perché comunque il ragazzo “prima di pensare agisce”».

Si sono registrate differenze di comportamento tra le ragazze e i ragazzi, ce ne vuole parlare?

«Le differenze c’erano già prima, con la situazione di emergenza si sono ancor più evidenziate. In condizioni normali le ragazze si dimostrano più portate all’autolesionismo e all’aggressività nei confronti del personale, mentre i ragazzi, forse per l’esigenza di “marcare” il territorio, più aggressivi verso i “pari”. Il primo cambiamento è proprio su questo secondo punto: con le restrizioni dovute alla pandemia il discorso territoriale dei maschi si è tramutato in comportamenti autolesivi e in comportamenti etero-aggressivi verso gli operatori, verso coloro, cioè, che erano chiamati a “contenere”. Questi sono gli unici due indicatori in salita. Per quanto riguarda le ragazze sono diminuiti tutti i comportamenti aggressivi e anche i tentativi di fuga, che sono sempre un chiaro segnale di una condizione di malessere».

Come influiranno i risultati dello studio sulle impostazioni future della vostra Comunità di accoglienza?

«Lo studio conferma le sensazioni che già avevamo prima dell’avvento della pandemia, per le quali ci chiedevamo se l’intensa stimolazione cui erano sottoposti i ragazzi – chiamati a sostenere vare attività, una dietro l’altra – sia davvero utile per la loro reintegrazione. Le domande che ora più di prima ci siamo posti sono: cercare di invogliare i ragazzi a fare molte cose è davvero necessario in una situazione caratterizzata per lo più da esordi psicotici? O è forse meglio cercare di inquadrare bene la patologia e procedere con un’azione di graduale rientro nella vita sociale?».

Dal punto di vista pratico prevedete dunque di intervenire in qualche modo?

«Sì, lo stiamo già facendo. Sono cambiate anzitutto le offerte di terapia psicoeducativa, in particolare quelle che richiedono un’uscita dalla struttura. Abbiamo sospeso le attività quotidiane non strutturate e autonome in favore di attività individualizzate. Abbiamo pensato anche allo stress che può essere procurato dalla frequentazione della scuola, soprattutto per quanto riguarda la fase iniziale dell’inserimento. Grazie alla sensibilità degli istituti scolastici coinvolti e all’utilizzo della DAD riusciamo oggi ad assicurare ai ragazzi un inserimento scolastico più graduale e meno traumatico. Non dimentichiamo che questi giovani non sono tutti della nostra zona e si trovano da un momento all’altro, con tutti i loro problemi, a doversi inserire in nuovi contesti, con nuovi compagni e nuovi professori, una situazione che può essere fonte di stress».

Intendete proseguire il vostro studio anche nel prossimo futuro?

«Pensiamo che si debba assolutamente lavorare in questo senso perché il campo dell’età evolutiva è davvero delicato e non ci possiamo permettere di agire in modo superficiale. Per cui, personalmente mi auguro che ricerche di questo tipo non solo siano protratte nel tempo, ma possano essere ampliate anche ad altri campi e ambiti».

2022-02-21