Con la Teatro terapia i pazienti di Villa Jolanda imparano a comunicare e a relazionarsi in un modo nuovo

Con la Teatro terapia i pazienti di Villa Jolanda imparano a comunicare e a relazionarsi in un modo nuovo

In Villa Jolanda, l'esperienza con la Teatro terapia ha avuto inizio tra il 2018 e il 2019 quando, in collaborazione con l'Associazione Teatro Giovani Teatro Pirata di Serra San Quirico (AN), si organizzò un laboratorio teatrale che ebbe la sua conclusione con uno spettacolo messo in scena al teatro di Montecarotto San Marcello.
In seguito la pandemia ha impedito agli operatori esterni di entrare nella struttura ospedaliera e tutto si è fermato per due anni. La buona notizia è che dalla fine dello scorso gennaio il laboratorio è ripartito, anche se con modalità un po' cambiate rispetto al passato. La principale differenza sta nel fatto che il laboratorio è stato al momento impostato in modalità aperta, senza cioè che vi siano vincoli di partecipazione continua per i pazienti.

Qual è l'importanza di avere un laboratorio teatrale all'interno di una realtà, come quella di Villa Jolanda, che accoglie pazienti con problemi di disagio psichico?

La risposta alla dottoressa Silvia Capitani, psicologa, referente dell'attività riabilitativa della clinica specialistica psichiatrica di Porto Potenza Picena Maiolati Spontini.

«L'obiettivo principale è quello di proporre un'attività espressiva che si vada a innestare in un programma terapeutico caratterizzato da altri tipi di attività. Il laboratorio di teatro, in particolare, si rivolge a un'utenza prettamente psichiatrica molto eterogenea, visto che la nostra struttura accoglie vari tipi di patologie, dai disturbi dell'umore a quelli psicotici, alle problematiche legate alle tossicodipendenze collegate alle malattie mentali».

Perché la scelta di lasciare "aperto" il laboratorio?

«Per dare a tutti la possibilità di partecipare, senza vincoli e senza pensare alla partecipazione a un prestabilito spettacolo finale. Chi vuole vi accede anche solo per una volta, o quando si sente di farlo. Poi man mano, nel tempo, ognuno sceglierà se farne un appuntamento fisso o se preferire altre attività. A quel punto si potrà creare un gruppo stabile, fisso. Cerchiamo in questo modo di favorire la voglia di esplorazione degli utenti e, attraverso questa, di agevolare il potenziamento delle loro abilità. In particolare, cerchiamo di porre l'attenzione sull'importanza del linguaggio del corpo e della dimensione emotiva che ognuno ha dentro di sé».

Il laboratorio è gestito da operatori esterni e anche interni?

«Dal punto di vista pratico il laboratorio è gestito dagli operatori dell'Associazione Teatro Giovani Teatro Pirata che non sono solo attori, sono veri operatori di teatro sociale. Loro lavorano molto nelle scuole ma nelle realtà psichiatriche come la nostra, hanno una forte esperienza sull'approccio alla salute mentale. All'interno dell'attività del laboratorio è poi inserita una nostra educatrice che supporta gli operatori ove ce n'è necessità organizzativa».

L'età dei partecipanti è trasversale?

«Sì, c'è grande eterogeneità tanto nelle forme di disagio mentale presenti quanto nell'età dei partecipanti. In questo periodo frequentano il laboratorio persone relativamente giovani, a partire dai 25 anni fino ad arrivare a pazienti con un'età più avanzata, anche prossima i 60 anni».

Quanto tempo restano i vostri pazienti nella struttura? È possibile costruire con loro un "percorso teatrale" di una certa lunghezza e continuità?

«In Villa Jolanda sono adottati vari moduli riabilitativi. Alcuni più brevi, che si occupano di apportare una riabilitazione intensiva per cui la maggior parte delle persone che vi accedono proviene da una fase acuta della malattia e quasi tutte giungono da noi dopo essere state ricoverate in SPDC, i Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, di altri ospedali. Poi abbiamo altri tipi di moduli riabilitativi, più lunghi, uno di 18 e l'altro di 36 mesi, dove il tipo di riabilitazione richiede tempi più lunghi e pazienti. Dal punto di vista del laboratorio di Teatro Terapia riusciamo quindi a dare una certa continuità al nostro lavoro. Pensiamo comunque sia importante anche solo una partecipazione occasionale, breve, perché permetterà di conoscere un nuovo linguaggio attraverso imparare a conoscere meglio se stessi».

Come viene accolto questo progetto da chi vi partecipa?

«Stiamo riscontrando un'ottima rispondenza da parte dei pazienti che frequentano il laboratorio. Per due motivi principali: il primo per la nuova possibilità di espressione che viene messa loro a disposizione, il secondo perché finalmente, dopo due anni di chiusura verso l'esterno, hanno l'occasione di vedere facce nuove, che non siano solo quelle che vedono tutti i giorni. In questi anni siamo stati forzatamente un po' "chiusi", ora siamo finalmente pronti ad accogliere di nuovo qualcosa che venga dall'esterno».

In che cosa consiste, nel dettaglio l'attività teatrale svolta nell'ambito del laboratorio?

«In questa fase si sta lavorando molto sulle individualità. L'operatrice dà dei compiti che gli "attori" devono eseguire. Ad esempio, hanno dovuto scrivere una poesia e poi recitarla nell'appuntamento successivo. Altri incontri sono stati concentrati sullo sguardo e sul movimento del corpo, approcci che rappresentano una sorta di alfabetizzazione rispetto a un linguaggio per quasi tutti completamente nuovo. Non ci siamo preclusi la possibilità di organizzare uno spettacolo finale, ma per ora non ci stiamo pensando, lo faremo più avanti anche in considerazione di come evolverà la situazione di emergenza per Covid-19».

In conclusione, dottoressa Capitani, quali sono i concreti vantaggi che possono essere ottenuti dalle persone che partecipano ai laboratori di Teatro terapia?

«Dal momento che non usiamo, in questa prima fase, né trucchi né costumi, la persona che partecipa al laboratorio sente di portare se stessa sul palco. Questo le fornisce una maggiore consapevolezza di sé e l'aiuta a recuperare una propria presenza nella vita sociale, in mezzo a tante altre persone. Se riusciremo a organizzare lo spettacolo finale, davanti a un vero e numeroso pubblico, questo sarà ancora più evidente. Poi ci sono gli aspetti legati al linguaggio e al modo di comunicare con gli altri perché il trovarsi a lavorare in un gruppo su un "palco" fa sì che ci si rispecchi negli altri e anche se si può pensare che quelle che si producono non sono altro che "finzioni", queste non lo sono per niente, in realtà a uscire sono le emozioni. E riuscire a esternarle, per chi non è abituato o ha una grande difficoltà a farlo, può davvero essere importante, anche dal punto di vista della cura».

2022-03-24