L’autismo viene considerato dalle linee guida “sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi 3 anni di vita".

Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’integrazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri. L’autismo, pertanto, si configura come una disabilità permanente.

Leo Kanner nella prima descrizione della malattia autistica, la classificava come “psicosi infantile”. È negli anni Settanta che l’autismo inizia ad essere riposizionato da patologia solo pediatrica ad un disturbo del neuro-sviluppo che perdura anche nell’età adulta e viene altresì riconosciuta una sua specificità.

Diagnosticare disturbi dello spettro autistico in età adulta non è semplice, i sintomi sono diversi e talvolta meno evidenti, spesso si presentano con diagnosi come: disturbi depressivi, disturbi attentivi, ma anche forme psicotiche, bipolari e di personalità. I DSA presentano manifestazioni cliniche a basso funzionamento con maggior compromissione intellettiva e socio-relazionale a forme ad alto funzionamento con livelli intellettivi nella norma o per certi aspetti superiori collegabili, solitamente, alla cosiddetta Sindrome di Asperger.
L'autismo in età adulta resta un settore di ricerca aperto, oggetto di diversi studi scientifici per capire gli aspetti sintomatologici e psicologici. Resta importante una indagine clinica adeguata rispetto alla storia della persona ed utilizzo di test di valutazione (AQ, ADOS, RAADS-R).

L’intervento deve essere di tipo integrato (lavoro abilitativo e psicoeducativo) condotto da una équipe multi professionale (psichiatra, psicologo, logopedista, ecc), ma soprattutto con la partecipazione dei famigliari, che spesso subiscono in caso di Autismo negli adulti il maggior peso della situazione per le difficoltà assistenziali.

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